Il mio viaggio più ‘estremo’ è senza dubbio quello che ho compiuto a febbraio, che mi ha portata a passare alcune settimane da sola, in Australia. Lo desideravo da tanto: volevo sfidare i miei limiti, stare da sola, ascoltarmi e lasciarmi trasportare da un luogo, senza farmi condizionare da altri viaggiatori o da convenzioni sociali. Così in una sera di un caldissimo febbraio sono arrivata da Melbourne e da lì ho incominciato a girare per il sud dell’Australia con pullman, aerei, bici e…piedi. Avevo il mio zaino e non avevo altri pesi. Non dovevo contrattare con nessuno su cosa o quando mangiare, a che ora rientrare in camera, cosa visitare durante il giorno. Mi lasciavo trasportare dal mio sesto senso e dai segnali del destino, parlavo con gli sconosciuti ma soprattutto stavo in silenzio e ascoltavo me stessa.
E prima di partire ricordo che alcune persone si sono proposte di accompagnarmi per una parte del viaggio. Alcune di loro erano poco convinte già mentre lo dicevano, altre invece ho dovuto fermarle con un secco ‘No, io voglio stare da sola‘. Pensavo fosse un bisogno facile da capire, invece ho scoperto che non è così: mi sono accorta che molte persone si spaventano all’idea di stare da sole e temono il mondo là fuori, anche perché non sanno che spesso è questa società che ha instillato in loro un sacco di paure ingiustificate.
Ho capito ancora di più questa differenza tra me e loro quando, qualche sera fa, sono stata invitata a vedere in anteprima il film Tracks – Attraverso il deserto, che narra la storia vera di una ragazza australiana, Robyn Davidson, che nel 1977 ha deciso di intraprendere un viaggio in solitaria per attraversare 2.700 km di deserto australiano accompagnata dal suo cane Diggity e da 4 dromedari. Ecco il trailer:
Non vi svelerò troppo sulla trama del film, ma vi dirò che anche lei, nel momento in cui ha annunciato il suo progetto, ha ricevuto la proposta di essere accompagnata da un po’ di persone ma ha insistito sulla sua idea di viaggiare da sola ed è partita nonostante i suoi amici fossero poco convinti della sua scelta.
Con questo non intendo dire di aver affrontato un’impresa epica come la sua, sia chiaro; dico solo che il film mi ha fatto immedesimare in lei e mi ha fatto apprezzare ancora di più la mia scelta.
Credo che Tracks sia un film sul rispetto: il rispetto per se stessi, per le scelte altrui anche se ci sembrano bizzarre e per le culture diverse dalla nostra (la protagonista si trova ad avere a che fare con gli aborigeni e con le loro terre sacre).
La pellicola poi mi ha fatto rivedere colori che mi mancano già: la terra ocra del deserto, che piano piano diventa rossa; la pelle rosa che si scotta sotto i potenti raggi del sole australiano; il marrone intenso e caldo della pelle degli aborigeni; l’azzurro turchese di quell’oceano dove anche io mi sono tuffata un paio di mesi fa.
Ciò che rende il film ancora più speciale, secondo me, è che tratta di una storia vera, che è stata documentata anche sul National Geographic, la rivista che ha sponsorizzato il viaggio venendo a patti con la Davidson per farla seguire, a tratti, da un fotografo.
Oggi Robyn ‘Camel Lady‘ Davidson vive ancora in Australia e chissà, magari il mio prossimo viaggio estremo mi riporterà lì, da lei.
3 commenti su “Il film Tracks e il (mio) viaggio alla ricerca di sé”
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Questo film mi incuriosisce moltissimo e non voglio assolutamente perderlo. Oltre al mio amore per l’Australia (che mi è rimasta nel cuore), racchiude la tematica del viaggio in solitaria: un’esperienza che mi affascina e mi spaventa al contempo. Avevo già letto il tuo post sui pro e contro di viaggiare da soli. Posso solo rinnovarti la mia stima.
A quanto ho appena letto, Il DVD italiano dovrebbe uscire fra un mesetto.