L’aereo atterra a Johannesburg intorno alle cinque del mattino. L’aeroporto è ancora semi vuoto e faccio colazione con calma, compro un panino per il viaggio, qualche biscotto, un succo di frutta e vado a ritirare l’auto noleggiata prima di partire. È tutto abbastanza rapido, l’unica preoccupazione è la guida a destra. Provo a impostare il navigatore per la mia prima meta: Graskop, in Mpumalanga, e arriva un bell’intoppo. All’interno del garage dell’aeroporto il GPS non prende, e non ho scelta se non quella di cominciare a girare a caso in autostrada. Mi innervosisco un po’, complice forse la stanchezza. Capire che la corsia di sorpasso è quella a destra è immediato, basta la prima sventagliata di clacson contro la mia andatura lumaca sul lato sbagliato della strada. La fortuna però è dalla mia parte e magicamente, quando il navigatore decide di darmi una mano, scopro di aver già imboccato la direzione giusta. Dai, il viaggio finalmente comincia, andrà tutto bene. La strada è tranquilla e non troppo trafficata, anche se per un lungo tratto costeggia una township.
Sudafrica: il primo impatto
Vedo bambini camminare accanto all’autostrada, ragazzi portare a spasso i loro cagnolini sulle aiuole tra una corsia e l’altra, persone attraversare in punti che mai mi sarei aspettata. Il primo impatto con una realtà così diversa da quella a cui sono abituata non mi lascia indifferente. Le baracche sono migliaia, una distesa di km di lamiere e rottami, e mi chiedo se esistano almeno i servizi fognari. Probabilmente no. I cavi della corrente elettrica sono ovunque, sfiorano i tetti delle casupole e le finestre, al di là di ogni precauzione possibile. Mentre mi allontano dalla città il paesaggio cambia, la terra si fa prima rossa, poi incredibilmente verde, con alberi altissimi e tanti falegnami al lavoro. Arrivo a Graskop dopo circa 5 ore di viaggio, assonnata e un po’ stanca. Mi fermo al Taba Tweni Lodge, una serie di bungalow molto carini e a buon prezzo, con un bel giardino a disposizione degli ospiti. Internet c’è solo alla reception, ma onestamente, ne ho davvero bisogno?
Sistemo la valigia e crollo sul letto. Non avevo considerato che ad agosto il tramonto arriva intorno alle 17, quindi mi sveglio che è notte. Ho fame. Monto in macchina e vado in città. La strada per Graskop è completamente buia e deserta. In paese più o meno lo stesso. È bassa stagione e si vede. Troppo tardi per mangiare, mi dicono (alle 21.00), quindi torno al lodge confidando nei biscotti rimasti. Pure se a stomaco vuoto non sento la fame più di tanto, distratta come sono a guardare il cielo e a gustarmi la mia prima notte africana, piena zeppa di stelle. Fa ancora abbastanza freddo la sera, serve una bella felpa pesante; per fortuna sul letto c’è una coperta piuttosto calda.
Graskop e Blyde River Canyon, il viaggio comincia!
È il momento di fare amicizia con questa piccolissima cittadina sudafricana. Prima però ho bisogno di cioccolato, tanto cioccolato. Scelgo Silver Spoon, un locale grazioso – ed economico – aperto a colazione e a pranzo. Pancake al cioccolato e frutta fresca, succo di frutta e free wi-fi. La prima destinazione è The Pinnacle, uno spuntone di roccia piantata tra le colline, poi God’s Window e Wonder View, due punti panoramici che guardano dall’alto tutta la regione, le Berlin Falls e soprattutto le Bourke’s Luck Potholes, delle cavità scavate dall’acqua molto particolari. Si può passeggiare tra un canyon e l’altro ed osservarli dall’alto grazie ad alcuni ponti sospesi, sconsigliati a chi soffre di vertigini.
Una sosta veloce lungo la strada a Lowveld View e poi il punto di osservazione delle Three Rondavels, tre strane montagne a forma di capanna che si trovano proprio sopra un’ansa del Blyde River. Con un buon cannocchiale vedrete anche gli ippopotami fare il bagno. Queste località di osservazione sono tutte a pagamento (pochi euro in realtà), si parcheggia l’auto e si cammina fino al punto prestabilito. All’ingresso di ognuna c’è un mercatino dell’artigianato di prodotti locali, sculture, sciarpe, borse e teli colorati.
La giornata si conclude alle Echo Caves, l’esperienza che in effetti mi ha colpita di più. Arrivo intorno alle 17.00 e le trovo chiuse, ma una gentile volontaria si offre di farmi fare il giro lo stesso. Le caverne devono il loro nome al fatto che battendo sulle stalattiti con un bastone si produce un’eco che risuona ancora oggi all’esterno. La guida mi spiega che lì dentro ci dormivano fino a 500 persone, compresa la sua bisnonna, e il segnale sonoro inviato dall’interno delle grotte serviva per avvertire gli abitanti di pericoli in arrivo.
Prima che sia troppo tardi (l’esperienza insegna), vado a cena. Come vi raccontavo qui, per mangiare in Sudafrica si può spendere davvero poco. Mi fermo a Graskop e scelgo Canimambo, un locale piccolo e rustico di proprietà di un portoghese. 8 euro per una zuppa, un secondo con verdura, bibita e dolce. Ci tornerò anche il giorno dopo. In effetti la scelta non è difficile, c’è solo un altro locale aperto per la cena. Graskop non è decisamente New York ma una cittadina minuscola: l’ho scelta perché è un punto di partenza perfetto per visitare le attrazioni principali di questa regione. Ha un’unica strada, un paio di negozi di souvenir e artigianato, 4 ristoranti, un supermercato e qualche agenzia di servizi per turisti. Vi segnalo l’Africa Silk, un negozio/laboratorio dove lavorano solo donne che vi mostreranno in pochi minuti come nasce la seta africana e come viene tessuta sui loro telai tradizionali.
Nel mio secondo giorno in Mpumalanga prenoto una gita a cavallo. Si parte dal Blyde Canyon 4Ever Resort e dopo un’ora e mezza raggiungo un punto panoramico sul bacino del fiume, con le Three Rondavels di fronte.
Peccato che sia una giornata molto nuvolosa e le visuale non sia limpida. Nel pomeriggio mi aspettano un bel po’ di cascate. Comincio dalle Lisbon Falls, veramente belle. Ci si può accontentare di vederle dall’alto ma anche avvicinarsi al fiume per avere un’altra prospettiva, prendendo uno dei tanti sentieri che partono dal punto base.
La tappa successiva sono le Mac Mac Falls e le Mac Mac Pools: le prime non sono nulla di memorabile, mentre le seconde valgono la visita, soprattutto in una giornata soleggiata. Sono delle piscine naturali con una bella area pic nic dove gli abitanti amano passare il loro tempo libero, una sorta di piccola oasi del relax.
Nella giornata non mancano un paio di “granchi” belli grossi, che mi fanno perdere un po’ di tempo: arrivo fino alle Bridal Falls, praticamente asciutte, e scelgo di visitare Pilgrim’s Rest, una vecchia cittadina di minatori, nata all’epoca della corsa all’oro. Tutto troppo finto per sembrare vero, ad esclusivo uso e consumo dei turisti. Le guide ne parlano in maniera entusiasta, a me non è piaciuta. Per di più, se soffrite le curve, lasciate stare: la strada per arrivarci si arrampica in montagna, è stretta e con diversi tornanti e rischia di farvi stare male senza alcuna contropartita valida.
Il Kruger National Park, finalmente!
È sicuramente una delle ragioni principali del mio viaggio in Sudafrica, tanto che ci resterò una settimana. Da Graskop ci vogliono circa 3 ore di strada per arrivare ad uno degli ingressi del parco, l’Orphen Gate. Scelgo di dormire all’interno della riserva, per spendere meno e non dover entrare ed uscire ogni giorno. Il parco infatti apre alle sei del mattino e chiude alle 18, e durante le ore di chiusura non si può girare all’interno, sia per lasciare un po’ di pace agli animali sia per evitare rischi inutili, visto che si tratta delle ore di caccia. O si è fuori dal parco o si è dentro i rest camp, gestiti da SANPARKS. Dormo 3 giorni all’Olifant e 4 al Satara. Il primo si trova sopra l’omonimo fiume, uno dei principali della regione, e dalla sua terrazza offre una vista strepitosa sul parco, in particolare al tramonto e all’alba, con gli animali che arrivano a bere e a rinfrescarsi.
Il Satara invece è al centro del territorio dei felini, e per questo è uno dei rest camp più richiesti. Anche solo facendo una passeggiata all’interno del campo, lungo la recinzione, si possono avvistare gli animali che popolano il parco. Prenotate alloggio e safari con un certo anticipo, perché i posti non sono illimitati e il Parco Kruger è sempre abbastanza affollato. I rest camp sono spartani ma estremamente organizzati e funzionali, e molto economici. Il bungalow costa circa 20 euro a persona a notte, cenare al ristorante interno più o meno 8 euro, partecipare a un safari con i ranger 20 euro. Ogni rest camp ha il suo supermercato, qualcuno anche la piscina e uno spazio per rilassarsi nelle ore centrali della giornata, tra un safari e l’altro. Certo, dovete considerare che il livello di manutenzione e di pulizia potrebbe non essere quello a cui siete abituati. Questi sono i miei calzini dopo aver camminato sul pavimento “appena pulito” del bungalow.
La nostra estate è la stagione ideale per visitare il Kruger National Park: l’erba infatti è più bassa e l’acqua è poca, per cui gli animali si concentrano vicino alle pozze ed è più facile avvistarli. La mia prima giornata al Kruger, dall’Orphen Gate all’arrivo all’Olifant Rest Camp mi regala elefanti, giraffe, zebre, bufali e antilopi a non finire ma anche 4 leoni sonnacchiosi, ippopotami e un magnifico e sfuggente leopardo. Ottime premesse per una settimana in crescendo. Tra safari notturni, al tramonto, all’alba e morning walk conservo nella memoria (e in 4 diversi hard disk) le immagini di iene, impala, leoni e leonesse con i loro cuccioli, giraffe, ghepardi, leopardi, piccoli roditori, uccelli coloratissimi, aquile, struzzi, istrici, babbuini, waterback, ippopotami, coccodrilli e facoceri.
Curiosità sugli animali imparate al Parco Kruger
I ranger sono una miniera di informazioni. Devono superare un periodo di formazione lungo e difficile per indossare la divisa SANPARKS, e questo li rende altamente qualificati e affidabili. È proprio grazie alla loro preparazione che al Parco Kruger non si sono mai registrati incidenti, come invece è successo anche recentemente in alcune riserve private. Tra le cose più divertenti che ho imparato, e che nessun documentario mi aveva mai raccontato, è che la cacca è il social network della savana. Esatto. Proprio quella. Annusandola gli animali ottengono qualsiasi tipo di informazione sul branco di un determinato territorio, su quante femmine ci siano nella zona, sui maschi dominanti ecc.
Sapete perchè i waterback si chiamano così? Perchè la striscia bianca che hanno “sul retro” fa pensare che gli sia rimasta una tavoletta del water attaccata. E un’altra curiosità riguarda le zebre. Come tutti gli erbivori mangiano in continuazione. Il consiglio che mi ha dato il ranger è di non stare loro troppo vicino. Perché? Vanno a gas. Sul serio. Il gas prodotto dal loro intestino serve per dare alle zebre lo sprint per scappare dai predatori: “There’s a bad air behind zebras“, ha detto il ranger!
Durante un safari a piedi i ranger, oltre a tante informazioni curiose e divertenti, mi spiegano anche come leggere e seguire le tracce degli animali e come evitare di perdersi nella savana (cosa che comunque è meglio evitare di fare!). Lascio al Kruger National Park un pezzo di cuore, pensando che non mi dispiacerebbe diventare una ranger, come sognavo da bambina. Chissà, non è mai troppo tardi giusto?